di Claudio Grasso
Il grande semiologo francese Roland Barthes 45 anni fa scriveva a proposito della solitudine del discorso amoroso (Frammenti di un discorso amoroso, 1977), ma oggi assistiamo a qualcosa che mina alle radici la stessa ragione di vivere dell’essere umano (uomo o donna che sia).
Riformuliamo così il titolo del libro di Barthes: “frammenti di un discorso passionale”. La passione oggi soffre della stessa solitudine del discorso amoroso 45 anni fa. Possiamo parlare di declino, di tramonto nella passione? La pandemia, il Covid hanno dato il colpo di grazia a ciò che ci rende vivi?
La Kristeva in un suo bel libro scrive che si è vivi solo se si è innamorati o si è in analisi. Alzi la mano chi si trova in almeno una di queste due condizioni. Forse sono molte le persone che hanno esperienza di almeno una condizione, ma, a differenza di un tempo, tacciono. Forse solo le donne, alcune/ molte donne, sanno ancora sillabare la parola:pas-sió-ne. Gli uomini, non tutti ma la gran parte, sono alle prese con il loro PNL (prodotto nazionale lordo), trascurando così il PIL (prodotto interno lordo). Fuori di metafora l’uomo oggi tende ad inseguire la quantità, la donna la qualità, l’uomo il possesso che lo conferma, la donna la passione che la trasforma. Ecco, nel nostro tempo il godimento dell’uomo sembra derivare dallo sfondamento del limite, in termini distruttivi o autodistruttivi (comportamenti criminali, sostanze stupefacenti). Il godimento della donna sembra derivare dal rispetto del limite e dei limiti (vedi la lotta senza sosta di Greta), salvo l’area degli affetti, delle emozioni e dei sentimenti, in particolare della passione, nel duplice significato che attraversa questa parola. Se l’uomo sta diventando una specie di Dio-protesi(Freud, 1929), sempre sull’orlo della crisi, la donna sta diventando la potenziale salvatrice di ciò che più profondamente rende umani gli umani. La psicoanalisi non può restare zitta di fronte a questo cambiamento epocale (in un’epoca non più nevroticamente, ma narcisisticamente orientata).Edipo sembra aver ceduto lo stemma a Narciso, con una costellazione psichica in cui, oltre all’ Es eall’ Io e al super-Io, si è aggiunta una supernova che splende più delle altre “vecchie stelle”: l’ideale dell’io. Le esperienze cliniche, con il corredo del potere e del sapere (cultura, scienze, arti), ci raccontano che il soggetto nell’inverno del nostro scontento baratterebbe la corona, lo scettro, il trono (il Fallo!) non più per un cavallo (cioè la vita!), ma piuttosto per il titillamento narcisistico di un like. Ricominciamo il discorso. La psicoanalisi non può restare zitta di fronte alle mutate patologie psichiche di uomini e donne. Le prime sempre più legate alle distorsioni e ai fallimenti dell’ideale dell’io, con esiti spesso di marca borderline. Le seconde sempre più legate allo scacco esistenziale, in termini relazionali, con esiti spesso di marca depressiva. La passione ci può salvare?
Da noi analisti, psicoterapeuti, arrivano pazienti abitati dalla passione, ma che vivono senza passione. La posta in gioco è proprio questa: aiutare le-i pazienti a superare la passione (segnata da Thanatos), per vivere l’esistenza con passione (segnata da Eros), senza la quale la vita non ha senso ed è fonte di sofferenza e dolore.
Ma noi analisti, psicoterapeuti, siamo abitati dalla passione che, come dice Diotima a Socrate, scuote l’anima?
Il nostro percorso e il percorso con i nostri pazienti prevede l’àncora e l’ancòra. La passione è il trait d’union di questi due poli ed evoca la nostra testimonianza e, soprattutto, la nostra presenza.
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