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Recensione della nuova biografia di Sigmud Freud di Peter-André Alt


di Michele M.Lualdi


In uscita presso la milanese Hoepli una nuova biografia di Freud, cui ho avuto il piacere e l’onore di collaborare come curatore redazionale. L’edizione originale tedesca è di solo pochi anni fa (2016) opera di Peter-André Alt, professore di letteratura tedesca contemporanea alla Freie Universität di Berino e già autore di una biografia di Franz Kafka e dell’edizione critica delle opere di Friedrich Schiller.

Lavoro notevole, come ben testimoniano il numero di pagine e il tempo comprensibilmente lungo (alcuni anni) che è stato necessario all’autore per completarlo, ci invita anzitutto a riflettere sulla storia della biografia freudiana, che possiamo tentare di sintetizzare nei suoi passaggi principali come segue. Punto di partenza è naturalmente l’opera in tre volumi di Ernest Jones, Vita e Opere di Sigmund Freud, pubblicata tra il 1953 e il 1957 (Il Saggiatore, Milano, 1962), imprescindibile fonte per chiunque voglia conoscere la vita di Freud e la storia delle origini della psicoanalisi. Suoi punti di forza sono senz’altro la ricchezza della documentazione che ne costituisce a base e il fatto che l’autore fu tra i protagonisti di molti degli episodi narrati (in particolare nel secondo e terzo volume). E tuttavia, proprio il secondo di questi due aspetti si rivela un’arma a doppio taglio: per motivi diversi (personali da un lato, di politica del movimento psicoanalitico dall’altro) Jones, infatti, non sempre riesce a conservare l’oggettività richiesta allo storico e la narrazione si fa spesso agiografica mentre in altre occasioni non è esente da distorsioni, molte ormai note e alcuni davvero notevoli, come la dichiarazione che nel suo ultimo periodo di vita Ferenczi fosse affetto da psicosi.

Successivamente, gli anni 1980 videro la pubblicazione di almeno altre due importanti monografie sul padre della psicoanalisi, quella del 1980 di William Ronald Clark, Freud (Rizzoli, Milano, 1983) e, nel 1988, Freud. Una vita per i nostri tempi, opera di Peter Gay (Edizione CDE, Milano, 1988): si tratta di due tomi di pregio, che hanno contribuito a una revisione della ricostruzione storiografica sia segnalando diverse pecche del precedente lavoro di Jones, sia potendo accedere a nuovo materiale documentario che ha consentito di arricchire significativamente il nostro patrimonio di conoscenze su quegli eventi.

Nei successivi decenni si è assistito in quest’ambito a due fenomeni di vasta portata.

Il primo riguarda la frammentazione degli studi: da un lato si sono moltiplicate le pubblicazioni, dall’altro esse sono diventate sempre più specifiche, concentrandosi, in forma di articolo, saggio o anche di volume, su questo o quel particolare della vita di Freud, sull’analisi dell’uno o dell’altro documento. Sono al contempo incrementati gli spazi di accoglienza di tali contributi: dalle riveste, via via più numerose e specializzate, ai siti web, soprattutto negli ultimi vent’anni. Ciò ha creato un effetto paradossale per cui agli occhi del lettore tutta questa ricca messe di pagine, cartacee e virtuali si è spesso trasformata in un grande vuoto, per la difficoltà vuoi di reperire il materiale, vuoi di individuare le fonti affidabili. Si aggiunga poi, per il lettore (in) italiano, l’ulteriore scarsità di contributi in lingua.

Il secondo fenomeno è stato il progressivo emergere di una schiera di detrattori non tanto del pensiero freudiano quanto soprattutto della sua persona, dipinta a tinte fosche: dall’agiografia di Jones, si è così passati, dopo un realistico revisionismo che ha annoverato tra le sue file, oltre ai già ricordati Clark e Gay, personaggi del calibro di Henri Helleberger, all’eccesso opposto, quello di un Freud additato a volte come cialtrone, altre come impenitente fedifrago, altre ancora come bramoso di denaro e potere. Mi basti citare in tal senso il volume di Mikkel Borch-Jacobsen e Sonu Shamdasani del 2011, Dossier Freud (Bollati Boringhieri, Torino, 2012) che a fronte di un’indagine documentale spesso scrupolosa forzano troppe volte a mio parere le conclusioni, perdendo a tratti di credibilità. E poiché, rispetto ai toni ponderati e aperti al dubbio che caratterizzano il serio lavoro storiografico, lo scoop e le verità (o supposte tali) scabrose hanno maggior presa sul lettore, sono proprio questi a venire agilmente incontro alle esigenze di un’editoria per la quale le concrete vendite decretano la sopravvivenza o meno in un campo assai competitivo.

Quel che in tal modo si è perso di vista è la necessità di uno sguardo serio e a tempo stesso complessivo sulla materia, capace di fornire al lettore informazioni storiche e indicazioni per eventuali approfondimenti. Il fatto che nel 2021 l’editore Bompiani abbia proposto una riedizione della traduzione italiana dell’opera diGay mi pare molto significativo: se di buono c’è che il cogliere l’esigenza di testi di ampio respiro, ciò che lascia l’amaro in bocca è che per tutta risposta si ripropone un testo letteralmente fermo al 1988, ossia a trentaquattro anni fa, un lasso di tempo che non è passato invano e che ha visto lo sviluppo di nuovi modelli storiografici e soprattutto, la progressiva apertura dei Freud Archives della Library of Congress di Washington, D. C.

In verità, va detto, nel 2014 è uscita una nuova biografia di Freud ad opera di Élisabeth Roudinesco, Sigmund Freud nel suo tempo e nel nostro, prontamente tradotta da Einaudi l’anno successivo. Si tratta di un lavoro relativamente contenuto (500 pagine circa), il cui fine però non è tanto lo scandaglio della vita del padre della psicoanalisi, quanto la sua messa a fuoco all’interno di un panorama storico-culturale in evoluzione: in tal senso un lavoro decisamente valido.

Per contro, venendo a noi, Sigmund Freud di Alt si propone come una sorta di continuazione ideale del progetto di continuo perfezionamento della ricerca biografica sulla vita di Freud e del nascere della psicoanalisi, come teoria e come movimento, riprendendo con ciò le fila del discorso di Clark e di Gay. Si trattava di non farsi scoraggiare dalla mole di documenti e pubblicazioni esistenti e di evitare al contempo la seduzione dalla facile via dello scoop, tanto facile da narrare quanto difficile da comprovare. In aggiunta, per l’Italia si trattava anche di trovare un editore pronto a investire finalmente su un volume di spessore e non di clamore. A rispondere Hoepli, che ci offre oggi con quello di Alt un testo fondato su un ricchissimo numero di documenti tanto editi quanto, cosa ancor più preziosa, inediti e su un accurato scandaglio della letteratura esistente. Il libro va al di là della semplice narrazione cronologica degli eventi della sua vita, e mette in evidenza gli stretti nessi tra questa, lo svolgersi del suo pensiero e il clima culturale dell’epoca (protagonisti, correnti letterarie e di pensiero), che l’autore conosce approfonditamente in virtù dei suoi studi e della specializzazione accademica. Molto interessante in tal senso, per fare un solo esempio, la ricostruzione delle radici del metodo catartico, in cui si intrecciano i riferimenti culturali con quelli biografici, in qualche modo “genealogici”, giocandovi un ruolo fondamentale uno scritto di Jakob Bernays, filologo classico e zio di Martha, moglie di Freud.

Il costante rinvio alle fonti delle affermazioni consente all’autore di documentarle e sostenerle e al lettore che lo voglia di verificarle e approfondirle. Aiuta molto in tal senso la fornitissima bibliografia, la cui consultazione è agevolata dalla sua suddivisione per tematiche: opere, articoli ed epistolari di Sigmund Freud; bibliografia psicoanalitica e psicologica contemporanea a Freud; fonti letterarie, filosofiche e storiche; biografie e opere generali su Freud; altre opere su Freud e sulla psicoanalisi; altre fonti.

Poiché come si diceva molti degli studi storici su Freud e sulla psicoanalisi sono in lingua straniera e spesso, persi nella fitta editoria specialistica, non vedono una traduzione italiana, una biografia tanto dettagliata significa accesso, se non direttamente a essi, quantomeno a parte del loro contenuto, cosa che consente di cogliere la complessità dello stato dell’arte, che va ormai ben oltre l’idea (illusoria) dell’esistenza di un racconto unico e immodificabile della vita di Freud, che ancora può trasparire dalla lettura del primevo lavoro di Jones. Basti per questo pesare alla tenacia di certe narrazioni mitologiche che tendono a persistere in merito a certi dettagli della storia della psicoanalisi (fatto poco lodevole, in particolar modo per una disciplina come la psicoanalisi stessa). Cito in tal senso solo due situazioni, seppur minime, di cui anche io mi sono occupato (qui e qui): l’idea che fu Jung a segnalare a Freud la novella di Wilhelm Jensen Gradiva da cui sarebbe nato nel 1906 il primo scritto di psicoanalisi applicata all’arte, per opera dello stesso Freud, Il delirio e i sogni nella “Gradiva” di Wilhelm Jensen, e l’aneddoto della frase sarcastica apposta da Freud in calce a un documento della Gestapo necessario alla concessione della sua partenza da Vienna: “raccomanderei la Gestapo a chicchessia”. Entrambe le situazioni sono state più volte segnalate come dei falsi, ma purtroppo ciò è sempre avvenuto in articoli specialistici e la cui voce si è rivelata troppo flebile per raggiungere la maggior parte dei lettori potenzialmente interessati. Il volume di Alt, che si pone invece come panoramica generale e non indagine del singolo episodio della vita di Freud e si rivolge pertanto a un pubblico ben più vasto, contribuisce finalmente in maniera più efficace – e se ne sentiva la necessità –a sfatare questi e altri miti, proprio grazie all’appoggio a una letteratura aggiornata e alla documentazione oggi consultabile (molto spesso anche comodamente e gratuitamente on-line), a differenza di quanto avveniva negli anni 1980.

L’edizione italiana è inoltra arricchita dalla Premessa, opera di una delle voci che hanno raccontato la storia della psicoanalisi a più generazioni di appassionati e di studenti: quella di Silvia Vegetti Finzi, che coglie l’occasione per affrontare in rapida carrellata, con il suo stile piano e le competenze di una vita dedicata alla psicoanalisi, anche le vicende della diffusione di tale disciplina in Italia.

Di fronte a una simile profusione di dati, a un testo che si offre a più livelli di lettura grazie a uno stile scorrevole e pulito, si perdonano alcune inevitabili inesattezze che pur vanno segnalate proprio in quello spirito di puntuale indagine storica seguito dall’autore. Anzitutto Alt si cimenta coraggiosamente nella ricostruzione dell’evoluzione del pensiero psicoanalitico di Freud, condotta in parallelo a quella della sua vita. Ma se già certi testi di Freud danno luogo a diatribe tra esperti, si può ben immaginare a quali difficoltà si esponga chi li voglia rendere in forma sintetica. Capita così che certi passaggi più teorici rischiano di risultare poco chiari a chi approcci la lettura senza preconoscenze specialistiche e troppo parziali a chi invece conosca la materia. D’altra parte, non avrebbe troppo senso esigere che una biografia abbia valore formativo in una disciplina al pari di un manuale o di un compendio, così come a questi non si domanda di raccordare i concetti spiegati alla vita del loro autore o al contesto in cui questi visse.

In secondo luogo, devo rilevare la narrazione di un evento a mio parere troppo poco fondato per essere dato per certo e un errore dal punto di vista storico. Quanto all’evento incerto, che peraltro ho già messo in luce altrove, è relativo alla supposta esistenza di una tesi di laurea di Freud, segnalata da più fonti ma di cui in realtà nessuno sa dare notizie certe e che, anzi, trova disconferma in una lettera scritta da Freud al neurologo Rudolf Brun il 18 marzo 1936 in cui afferma: “Tesi di laurea, allora, non c’erano…”.

L’errore, invece, sta nel ritenere che lo scritto di Freud Osservazione di un caso grave di emianestesia un paziente isterico (1886) sia la traduzione di uno testo di Charcot, cosa che non è, essendo ben altra la storia di questo breve articolo (segnalo in tal senso la mia Premessa a Königstein L., Osservazione di un caso grave di emianestesia in un paziente isterico (conclusione)).

Nulla che, volendo, non si potrebbe sistemare in una riedizione del lavoro, che così come merita di essere letto tanto dall’addetto ai lavori (storico o psicoanalista che sia) quando dal curioso, meriterebbe certo la fatica di un’eventuale revisione per togliere quegli inevitabili errori che nonostante tutte le accortezze lasciano regolarmente qualche graffio in lavori così corposi e importanti.



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