di Claudio Grasso
Da oggi inauguriamo una nuova rubrica per il blog dell’ IPP: In-Contropiede.
Vuole essere un’occasione di incontro-confronto tra punti di vista di psicoanalisti/e e psicoterapeuti/e dell’IPP e colleghe e colleghi di altre associazioni e/o Istituti del nostro stesso campo (e, perché no, anche di altre culture).
Immaginiamo questa nuova rubrica con le peculiarità del suo nome: commenti, osservazioni, riflessioni brevi, veloci, rapide, caratterizzate da un pensiero che si smarca e “va a rete”: in-contropiede, appunto. Come primo incontro-confronto, mi riferisco allo scritto giornalistico di Massimo Recalcati, dal titolo “La cecità delle ideologie; nella mente di Putin” (la Repubblica, 3 marzo c.a.).
È difficile essere d’accordo sia sul primo che sul secondo termine dell’articolo: cecità/ideologia.
La letteratura psicoanalitica sulla guerra e sulle ideologie parte dal “Disagio della civiltà” (1929) di Freud e dal carteggio Freud-Einstein "Perché la Guerra?” (1932). Per arrivare agli studi fondamentali e ancora attualissimi di Franco Fornari “Psicoanalisi della guerra” (1966), “Psicoanalisi della situazione atomica” (1970). E pensiamo solo all’ “elaborazione paranoica del lutto”, concetto cardine di Fornari a proposito del fenomeno guerra. Sia detto per inciso, André Green definì “Psicoanalisi della guerra” “…l’opera più importante, su questa materia, dopo il Disagio della civiltà di Freud”.
Dal mio punto di vista, considerato che nel 2022 le ideologie sono collassate proprio per i motivi, già indicati negli anni 70, da Pier Paolo Pasolini, di cui tratta lo stesso Recalcati in un altro articolo su “la Repubblica” del 5 marzo c.a. (in palese contraddizione con se stesso), Putin non è abitato da nessuna ideologia. Putin, infatti, è disabitato, ed è questo il punto terribilmente drammatico, tragico di tutta questa vicenda terrificante, che il popolo ucraino sta vivendo sulla sua pelle, e noi comunità del mondo intero con loro. Putin è affetto non da cecità, bensì da una forma di anestesia narcisistica, che chiamerò narcosismo, tipica di tutti i dittatori, che, avendo “fatto il pieno” di ideale dell’io di tutto un popolo (nel caso specifico, il popolo russo), non ha più lo spazio mentale per accogliere nulla. Putin, quindi, non è cieco (a causa dell’ideologia, che peraltro non esiste più), anzi ci vede benissimo. Semmai è sordo, non sente niente e nessuno, a causa di una forma molto grave di incapacità di sentire emozioni, affetti, sentimenti, in quanto negato alla relazione con l’altro e in quanto affetto da una totalitaria illusione di pienezza. Proprio per questi motivi Putin, considerato il potere che ha, è un uomo così pericoloso da evocare l’ultima pagina del grande romanzo di Italo Svevo, “La coscienza di Zeno“ (1923!).
“Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto al quale gli
esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli altri un po’ più ammalato, ruberà tale esplosivo e
s’arrampicherà al centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di
nebulosa errerà nei cieli priva di parassiti e di malattie”.
PS:
A proposito di Pierpaolo Pasolini, il più grande artista e pensatore italiano del 900, a Recalcati, nell’articolo già citato del 5 marzo, estratto di un suo libro su Pasolini, sfugge il nocciolo del problema. Forse perché il suo vertice di lettura non è più rappresentato dalla psicoanalisi, bensì piuttosto da una ecumenica forma di psicosociologia. Per esempio Recalcati non rileva l’essenziale processo di scissione come l’inquilino che abita le stanze della casa interna di Pasolini (“Monaco di giorno, gatto di notte”). Mi rendo conto che una persona così complessa come Pasolini e così straordinaria meriterebbe non qualche riga e un breve commento, ma In-Contropiede prevede proprio questo. Nell’ultimo romanzo “Petrolio” (rimasto incompiuto per la morte dell’autore assassinato il 2 novembre 1975), il protagonista si chiama Carlo (Per inciso, il nome del padre di Pasolini). Lo scrittore scinde il protagonista in due personaggi: Carlo di Polis e Carlo di Tetis. Il tema del doppio è del tutto evidente. È un grande tema, sia letterario che psicoanalitico. Per ragioni di brevità (e me ne scuso con le lettrici e con i lettori), mi limiterò a segnalare il nocciolo psichico che, a mio parere, ha fatto di Pierpaolo Pasolini la persona che era (e che ci manca tantissimo): l’assenza del terzo. A questo proposito terminerò il primo In-Contropiede con una bellissima poesia di Pasolini,
“Supplica a mia madre”:
È difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio.
Tu sei la sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore.
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.
Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame d’amore, dell’amore di corpi senza anima. Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù: ho passato l’infanzia schiavo di questo senso alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile…”.
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